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Su web si trovano decine
di siti, alcuni davvero ben fatti, che forniscono informazioni su
tecnica apistica e produzione di miele. Noi ci guardiamo bene dal
volerli emulare sia per rispetto di chi, magari con titoli di studio
specifici, ha fatto dell’apicoltura la sua attività professionale sia in
quanto... rischieremmo di essere ripetitivi e forse non all’altezza. Il
nostro intento è "solo" quello di fornire, a chi volesse avvicinarsi al
mondo delle api o fosse solo un po’ curioso, alcune indicazioni su
quello che facciamo ed abbiamo fatto nel rapportaci alle “nostre apine”.
Una delle prime cose che
abbiamo appreso è - infatti - che spesso non c’è un’unica strada da
seguire ma più d’una, probabilmente tutte egualmente valide; e che
conta, molto, moltissimo, l’esperienza che ogni apicoltore riesce a
maturare. Così ci consigliamo spesso con amici colleghi ma, alla fin
fine, cerchiamo di sbagliare da soli, contando anche un po’ sul fatto
che quello dell’apicoltura è un mondo ancora in parte sconosciuto ed
aperto alle più varie sperimentazioni empiriche.
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Indice
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Il nostro miele di acacia, 2011 |
I
primi passi |
La scelta del luogo e del
supporto.
Come abbiamo già detto a
proposito del miele, prima di tutto è il caso di scegliere la zona in cui
collocare l'apiario, inteso come l’insieme di
alcune arnie, optando - a nostro avviso necessariamente
- per un luogo distante il più possibile da aree urbanizzate, strade, siti
industriali, discariche, coltivazioni intensive e, magari, anche vigne di grandi
aziende. Questo per evitare che i
prodotti delle api possano venire contaminati da elementi inquinanti e anche,
come nel caso della consigliata distanza da vigne e coltivazioni, per impedire
che le api stesse possano morire andando a “bottinare” su fiori
trattati con antiparassitari (come i temutissimi, e per fortuna per adesso
banditi in Toscana, neonicotinoidi).
Nella scelta della
zona si dovrà tenere anche conto della vegetazione circostante, che dovrebbe
essere preferibilmente varia e con piante che fioriscono in periodi diversi; ciò
per garantire polline e nettare alle api in un range di tempo più ampio
possibile. Sulle colline intorno a Firenze si possono trovare agevolmente
zone con acacie, castagni, pascoli con fiori spontanei, qualche abete; magari
con piante primaticce come rosmarino, biancospino, mandorli e ciliegi. Del pari,
in caso di zone non pianeggianti, si dovrà calcolare se porre le arnie sopra o
sotto le zone dove presumibilmente le api andranno, nel raggio di 3 km, a bottinare. Se, infatti, l'apiario è posto più in basso rispetto ai boschi o ai
prati, le api saliranno quando sono a vuoto ma saranno in discesa quando
torneranno all'alveare col loro carico, in ciò essendo agevolate. |
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Scelta la zona, dovremo individuare un
sito sul quale creare l’apiario. Il posto prescelto dovrà essere non eccessivamente
ventoso, con meno umidità possibile, con esposizione sud-est, nelle vicinanze di
una fonte naturale di approvvigionamento idrico, con alberi di tipo non sempre
verde sotto le fronde dei quali collocare le arnie; l’erba dovrà essere ben
rasata, non dovranno esserci ostacoli a meno di 4/5 metri dal prospetto frontale
delle arnie e l’accesso dal lato posteriore dovrà essere libero e semplice. Per
quanto riguarda la distanza da rispettare da strade o altre proprietà, questa è
fissata dalla L.R.T. 69/1995 in 10 metri (15 davanti), a meno che non esistano
siepi, muri o ripari di altezza minima di due metri. A nostro avviso è preferibile
aumentare comunque tale distanza e non collocare le arnie in prossimità di
abitazioni o luoghi comunque deputati allo stazionamento di persone; questo non
perché le api costituiscano di per sé un problema, siano pericolose o
aggressive, ma perché è facile avere vicini che hanno paura, sono polemici o
semplicemente “rompiballe”.
Direi che sia il caso di fornire qualche spiegazione
sul perché di alcune delle scelte che abbiamo appena indicato, partendo dal dire
che alle api non da’ tanto fastidio il freddo o il caldo quanto l’umidità ed il
vento forte, che le ostacola quando tornano in volo all’alveare. L’esposizione a sud-est è
richiesta, poi, dal fatto che il sole esercita una importanza fondamentale sul
comportamento delle api, motivo per cui è opportuno che il davanti delle arnie
riceva i primi raggi del sole mattutino. Per la stessa ragione è importante porre
le arnie sotto un albero che possa fare ombra l’estate, in modo da contribuire a
mantenere bassa la temperatura, ma che perda le foglie
l’inverno, in modo da permettere al sole di raggiungere le arnie stesse. La
necessità della mancanza di ostacoli intorno all’apiario è dovuta alla esigenza
di accedere dal lato posteriore ed al fatto che le api, quando
partono dal predellino di involo, è meglio abbiano la via sgombra per evitare
inutili e faticosi giri a vuoto.
Sempre a proposito della
location da scegliere, è a nostro avviso utile poterci arrivare con
l’auto o direttamente o nelle immediate vicinanze; questo perché, quando si
devono prelevare i melari pieni di miele, essi pesano molto e, magari col caldo
e tutti intabarrati nella tuta, la cosa può diventare un vero supplizio.
Una volta scelto il sito,
è opportuno trovare un basamento sul quale collocare le arnie, la base delle
quali è il caso si trovi a circa 40 cm dal suolo. In questo caso conta l’altezza
dell’operatore e la sua preferenza personale, in quanto è opportuno, dovendo
lavorare alle arnie e impilarci magari anche 3 o 4 melari, che non siano né
troppo in alto né troppo in basso per evitare mal di schiena o sforzi eccessivi.
Il piano deve essere leggermente inclinato in avanti, per permettere ad un
eventuale ristagno di umidità di scolare senza rimanere all’interno delle arnie.
Come basamento possono essere usati tanti materiali ed oggetti diversi:
intelaiature di ferro saldato infisso nel terreno, mattoni con sopra assi o una
vecchia porta, casse rovesciate di metallo e via dicendo con ciò che si ha
disposizione o soddisfa anche il nostro senso estetico.
Nelle foto a destra
le varie fasi della sistemazione del sito che, una sera di Marzo 2011, ha
accolto Pina di ritorno da Firenze: il terreno è stato pulito e sono stati
costruiti due "pilastrini" di mattoni rinforzati da sassi; sopra è stata
disposta una vecchia porta che ospiterà tre arnie. Nelle ultime foto: in una le api
premono sulla chiusura della porticina, tenuta da nastro adesivo; nell'altra
bevono dalla sistola per annaffiare che gocciola. |
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Una volta sistemato
l’apiario, prima di accogliere le nostre eroine, si potranno disegnare
sul frontale di ogni singola arnia dei segni diversi, con più vuoti che
pieni, come un cerchio, un triangolo, un quadrato e via dicendo,
evitando i colori diversi in quanto, sembra, le api non riescano a
vederli. Lo scopo di questo piccolo accorgimento è quello di aiutare le
api a riconoscere la loro “casa”, evitando pericolosi fenomeni di
deriva. Ricordiamo che quando abbiamo una fila anche solo di 5 o 6 arnie
eguali tra loro, magari in periodi di forti fioriture, è facile che le
api sbaglino arnia ed entrino in quella limitrofa. Se si avvicineranno
cariche di miele o polline le api guardiane non le ostacoleranno, motivo
per cui – sempre al fine di evitare la deriva, veicolo della diffusione
di eventuali patologie – più interventi di aiuto nell’orientamento
porremo in essere e meglio sarà. Personalmente preferiamo, per lo stesso
motivo, evitare lunghe teorie di arnie, ritenendo più opportuno
disporle, invece, in piccole file separate o sfalsate tra loro.
Prima di abbandonare la
nostra chiacchierata sul luogo da scegliere, anticipiamo che è
preferibile sceglierne due, che distino l’uno dall’altro almeno 3 km in
linea d’aria, nei quali collocare almeno tre arnie in ognuno. Questo,
all’inizio, ci costringerà a giri assurdi per visitare tutte le nostre
arnie ma dopo ci agevolerà... come vedremo parlando sia della creazione
di nuovi nuclei che delle patologie delle api. |
L’arrivo delle api.
Immaginiamo adesso di
avere sistemato il sito e di essere andati, di buon mattino o la
sera tardi, a comprare gli sciami con i quali dar vita alla
nostra attività di apicoltori. Gli sciami vengono venduti in
appositi porta-sciami, in legno o in polistirolo espanso, che
hanno un piccolo sportellino anteriore, un foro chiuso da una
rete sotto, un coperchio sopra. Quando li prendiamo accertiamoci
che lo sportellino sia chiuso e che il coperchio sia fissato con
del nastro adesivo, di modo da impedire alle api di uscire.
Carichiamole in macchina (se proprio vogliamo esagerare
delimitiamo i posti anteriori dell’auto dal resto con una rete
tipo zanzariera) e partiamo alla volta del nostro apiario,
cercando di non metterci più di un‘ora o massimo due di tempo ed
avendo cura di tenere i finestrini posteriori dell’auto aperti
(il vento le calma). |
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Una volta raggiunto il
nostro apiario, meglio a nostro avviso se la sera tardi,
depositeremo il porta-sciami accanto all’arnia che dovrà
ospitare la famiglia, ci ricorderemo di aprire lo sportellino
anteriore e... ce la daremo a gambe molto velocemente! Ciò in
quanto le api, seppure ormai sia quasi buio, si saranno
innervosite per il viaggio e lo spostamento.
Dopo due o tre giorni
potremo andare a traslocare le api dal porta-sciami all’arnia,
con un’operazione da farsi – come la maggior parte di quelle che
faremo da ora in poi – al mattino prima che il sole sia troppo
alto. Nella foto a destra vediamo il porta-sciami e due arnie,
una contraddistinta da un triangolo e l'altra da un cerchio; sui
predellini di involo ci sono un po' di api, ancora spaesate per
il trasferimento. |
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Prima di spiegare come
trasferire le api nella loro dimora definitiva è il caso di
descrivere come è fatta un’arnia. Questa è costituita da una
parte più grande, di forma di parallelepipedo, che prende il
nome di nido, sopra la quale viene posto un altro
parallelepipedo, più piccolo, che si chiama melario. Come
suggeriscono i nomi, il nido è quello in cui trovano alloggio le
api, mentre il melario è deputato allo stoccaggio del miele di
scorta. La base dell’arnia è costituita da un cassettino di
metallo (chiamato “anti-varroa”) sopra il quale vi è una retina.
L’interno sia del nido che del melario è organizzato con
supporti di metallo sui quali vengono collocati i telai, che le
api
costruiscono
partendo da un foglio
cereo fissato a caldo sui telai stessi. |
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Ora, le api, se non
avessero tali telai con la falsa riga degli esagoni tracciati
sul foglio cereo, costruirebbero da sole cellette con esagoni
perfetti, un po’ più grandi, in quello che sarebbe un bellissimo
favo naturale. Lo scopo di usare i telai è del tutto funzionale
all’apicoltore e, segnatamente, alle operazioni di controllo
delle api, di cura, di raccolta del miele. La parte superiore
dell’arnia (lasciando perdere per adesso il melario) è
costituita dal copri-favo, al centro del quale vi è un foro
coperto da una rotella che, posizionabile su quattro posizioni,
permette la totale o parziale chiusura; sopra il copri-favo vi è
un coperchio di legno, rivestito di alluminio. L’arnia, sul
davanti, ha una piccola tettoia, sotto la quale si apre la
porticina, che affaccia sul predellino di involo; da tale porta
escono ed entrano le api.
Tutto ciò brevemente ma
necessariamente premesso, torniamo al giorno del trasferimento
delle api. La prima cosa che faremo – una volta vestita tuta,
maschera, guanti ed acceso l’affumicatore con un sacco di juta
arrotolato – sarà togliere coperchio e copri-favo
dell’arnia; apriremo quindi il coperchio del porta-sciami, dando
qualche buffetto di fumo per placare le api, e si prenderanno
con l’apposita pinza tutti i telai coperti di api. Li
depositeremo, partendo dal centro, negli appositi supporti del
nido dell’arnia facendo attenzione e lasciare compatti i telai
con la covata e facendo attenzione a non uccidere, nella
manovra, l’ape regina. Una volta posti al centro i cinque telai
con le api, si porranno a fianco (ma potremo anche intervallare
i due telai più esterni ad altri nuovi), sia a destra che a
sinistra, altri telai da costruire. Se la stagione è ancora
fredda, invece di mettere tutti telai nuovi, sarà meglio
inserire un diaframma dopo due telai vergini, al fine di
contenere la dispersione del calore; successivamente si potrà
togliere il diaframma sostituendolo con altri telai da
costruire. |
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Una volta finito il
trasbordo delle api che erano sui telai ci renderemo, però,
conto che parecchie api sono ancora sul fondo del porta-sciami
o, preso il volo, vi stanno tornando. Si dovrà, pertanto,
prendere il porta-sciami, capovolgerlo sull’arnia e dare un paio
di colpi secchi per far cadere le api; le ultime rimaste
potranno essere, dolcemente ma in modo deciso, spazzolate per
farle cadere. Nella foto a destra si vede proprio questa
manovra: mentre uno usa l'affumicatore, l'altro scuote il
porta-sciami dal quale cadono ancora tante api.
A questo punto avremo
finito, ricordandoci di lasciare per almeno un’altra giornata il
porta-sciami a fianco dell’arnia, per permettere ad eventuali
ritardatarie di non perdersi. |
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Come si controllano le arnie.
I parte,
ovvero delle verifiche invernali.
Dopo una settimana o due
dall’arrivo delle api si dovranno iniziare i controlli periodici
che sono il primo momento in cui ci si trova davvero faccia a
faccia con le nostre nuove amiche; ed anche faccia a
faccia con quelle che potrebbero essere le nostre fobie verso
tanti esserini volanti e ronzanti che, fino a questo momento,
abbiamo osservato sempre un poco da lontano. Durante l'intero
arco dell’anno - seppure in modi diversi - si deve verificare lo
stato di salute di ogni singola famiglia, così chiamando
l’insieme delle api che, ognuna con un’ape regina, vive in
un’arnia in numero oscillante dalle trenta alle settantamila
unità.
Dopo circa 15 giorni dalla
collocazione degli sciami nelle arnie, la temperatura esterna
potrà ancora non essere così mite da permetterci di effettuare
dei controlli diretti, ad arnia aperta. Lo stesso accadrà, gli
anni a venire, nel periodo invernale quando non si dovranno
aprire i coperchi per non abbassare la temperatura interna delle
arnie che le api, con un sistema incredibile di movimento dei
muscoli delle ali e la posizione “a glomere”, riescono a
mantenere oltre 20 gradi centigradi. Così, in questi
momenti, potremo accovacciarci accanto all’arnia, appoggiare
l’orecchio ad una parete, bussare in modo deciso un paio di
volte. Dovremo sentire una risposta altrettanto decisa,
omogenea, che non dovrà ricordarci un pianto o un lamento;
impareremo col tempo a riconoscere “la voce” di una famiglia in
buona salute, che sarà tanto più intensa quante più saranno le
api all’interno.
Un altro indicatore di
come procede la vita nell’arnia ci può essere fornito
dall’osservazione del vassoio antivarroa: innanzitutto
osserveremo delle strisce di residui di cera, sporcizia,
frammenti di api morte, disposti in modo longitudinale rispetto
all’arnia, in corrispondenza dei telai; così, contando il numero
di tali strisce, sapremo quanti telai occupano le nostre api e
valuteremo quindi la forza della famiglia.
Ma tali residui ci potranno dare altre preziose informazioni: se
sono composti da cera chiara sapremo che questa deriva
dall’apertura degli opercoli con i quali sono chiuse le cellette
che contengono il miele e, di conseguenza, sapremo che le nostre
api stanno consumando le scorte. |
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Se, invece, il colore della cera sarà scuro, dato che scuri sono
gli opercoli che chiudono le cellette destinate ad ospitare la
covata, apprenderemo che le nostre giovani api stanno nascendo,
rompendo gli opercoli. Nella foto a lato cera chiara a sinistra,
cera scura e varroe sulla destra. Un’ultima verifica che,
soprattutto successivamente, l’esperienza ci permetterà di fare
è quella sul peso dell’arnia: alzandola e soppesandola capiremo
se le scorte di miele sono in fondo o se ve n’è in quantità
sufficiente. Nel primo caso dovremo intervenire ponendo del
candito all’interno del coprifavo, sotto il coperchio, in
prossimità del foro che porremo su posizione aperta (metteremo
il candito in un sacchetto da surgelatore, verificando che sia
libera la via di accesso dal foro). |
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Prima di affrontare l'argomento di come si effettuano i
controlli veri e propri, ad arnia aperta, è il caso di spendere
due parole sugli strumenti e gli inconvenienti del mestiere... |
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Gli strumenti del
mestiere.
Gli strumenti del mestiere
sono molto pochi. Primo fra tutti il nostro d.p.i. (dispositivo
di protezione individuale) che può esser costituito da una tuta
o da una casacca, entrambe con maschera per il volto, o da una
semplice maschera da indossare sopra normali indumenti. La più
sicura è, a nostro avviso, la tuta: che ha un colletto imbottito
sul quale si innesta perfettamente la maschera, tenuta chiusa da
un elastico; è però scomoda, in quanto ci si deve in pratica
cambiare d’abito, mentre la casacca la si può indossare sopra
altri indumenti ma garantisce un livello di protezione
leggermente inferiore. Ricordiamo, infatti, che le api hanno un
pungiglione talmente robusto e lungo da bucare, senza grossi
problemi, il tessuto di cotone della tuta o della casacca; ecco
che, se vogliamo stare proprio tranquilli, può essere
consigliabile indossare sotto vestiti spessi, che però diventano
insopportabili col periodo caldo. Per lo stesso motivo, se
magari non si hanno troppi capelli, sotto la maschera può essere
utile mettere un berretto, che se con visiera può distanziare
ancora meglio la retina dal volto. Per quanto riguarda le
scarpe, la cosa migliore sono stivali, anche di gomma, alti
sotto il ginocchio con la tuta o i pantaloni messi dentro e
leggermente rimborsati, per ostacolare le api nell’eventuale (ma
poco probabile) discesa all’interno delle calzature. I guanti
devono essere apposta, di pelle e con la copertura, in stoffa
pesante, che arriva fino al gomito e qui chiude con un elastico;
lo scopo è di coprire al meglio la zona che più è destinata ad
entrare in contatto con le nostre amiche api.
Strumento molto importante
è l’affumicatore, costituito da un cilindro di metallo con un
coperchio ed un beccuccio ed un piccolo mantice sulla parte
posteriore. Conviene caricarlo con pigne secche, erba secca
compressa, teli di juta avvolti e stretti che vanno accesi con
una fiaccola o un accendino; appena il fuoco ha preso va chiuso
il coperchio e, soffiando col mantice, si deve far uscire il
fumo che tranquillizzerà le api. Non preoccupatevi, perché per
una delle varie leggi di Murphy, farà un sacco di fumo denso
quando non ci serve e se ne resta lì attaccato all’arnia; poi,
nei momenti in cui sembra di avere intorno tutte la api del
mondo... smetterà di funzionare. Altro oggetto importante è la
pinza, con la quale si sollevano i telai ed i vari tipi di leva
che servono per tutto; togliere la propoli, staccare i telai,
tagliare il candito e via dicendo. Se ne può fare benissimo a
meno e prendere i telai con le mani ma, a nostro avviso, tra la
poca sensibilità che si ha coi guanti e le tante api intorno è
sconsigliabile farlo. |
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II parte, dei
controlli veri e propri.
Tralasciando volutamente qualsiasi spiegazione sul funzionamento
di quel microcosmo perfetto che ci piace definire l’alveare,
cerchiamo di descrivere come verificare, in periodo non
invernale, lo stato di salute delle nostre api. La prima cosa da fare è
scegliere una bella giornata, senza minacce di piogge
all’orizzonte, senza vento e con una temperatura mite; nel
momento più caldo del giorno, con una temperatura mai inferiore
ai 10 gradi (meglio se parecchi di più) inizieremo il nostro
controllo. Prima di vestirci a dovere, dobbiamo ricordare di
evitare colori troppo scuri e profumi di qualsiasi tipo: niente
dopobarba, creme, saponi o deodoranti forti che potrebbero
infastidire o rendere aggressive le api. Una volta pronti ci
avvicineremo alla prima arnia della fila, cercando di non fare
troppo rumore; daremo una sbuffata di fumo col nostro
affumicatore dalla porticina anteriore e poi solleveremo il
coperchio. Quindi infileremo la leva in un paio di punti, tra il
legno dell’arnia ed il copri-favo, e faremo leva per far saltare
le vere e proprie saldature di propoli che certamente troveremo.
Una volta sbloccato il copri-favo lo solleveremo quel tanto che
basta a infilare il beccuccio dell’affumicatore dentro e daremo
qualche altro colpetto di fumo. A questo punto alzeremo,
prendendolo per due lati, il copri-favo e... avremo
davanti i nostri telai (da cinque a nove a seconda di quanti ne
avremo collocati all’interno dell’arnia, ricorrendo o meno ai
diaframmi) coperti di api. In questo periodo, fine di Marzo
inizi di Aprile, le api dovrebbero essere abbastanza tranquille,
non aggressive, ancora un poco infreddolite ma mettiamo in conto
che alcune decine si alzino in volo e volino sopra la cassa e
sopra di noi. Una volta presa un po’ di familiarità con la nuova
situazione, usiamo la leva per sbloccare – facendo perno sul
telaio accanto – il primo telaio partendo da un lato; ripetiamo
la stessa operazione con il lato opposto ed accertiamoci di
avere rimosso la propoli. |
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Adesso prendiamo il
telaio al centro, usando la pinza, facendo attenzione a non
schiacciare le api che, man mano che muoviamo la pinza, ci
faranno spazio. Preso saldamente il telaio lo dovremo alzare
verso l’alto, facendo molto piano, al fine di permettere alle
api di spostarsi e tenendolo in posizione perpendicolare, per
evitare di schiacciarle tra i telai. Una volta estratto il
telaio lo depositeremo, delicatamente, di fianco all’arnia o lo
agganceremo al supporto in metallo che, nel frattempo, avremo
attaccato all’esterno dell’arnia stessa. Prima di appoggiare il
telaio guardiamolo, per accertarci che non vi sia la regina e
per controllarne lo stato (come vedremo di seguito). |
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A questo punto avremo un
po’ più di spazio nell’arnia, per cui potremo prendere, nel modo
appena visto, il secondo telaio che – una volta controllato –
metteremo, scrupolosamente volto nella stessa direzione dalla
quale lo abbiamo tolto, al posto del primo. Proseguiremo così
fino ad arrivare all’ultimo telaio; quindi li sposteremo
nuovamente tutti nella posizione originaria oppure, il che va
bene lo stesso, rimetteremo nel posto lasciato vuoto il primo
telaio che avevamo tolto.
Nel mentre avremo fatto
questa operazione di verifica avremo usato, senza eccedere,
l’affumicatore che col suo alito caldo e denso contribuisce a
tenere tranquille le nostre api. La ragione di tale fatto sembra
risieda in meccanismi atavici di memoria collettiva o di
imprinting, per cui il fumo sembra rievochi gli incendi
della foresta quando le api, in favi naturali, rimanevano
all’interno degli stessi per sfuggire alle fiamme e per
difendere la loro regina. Una teoria che amplia e specifica
quella appena esposta vuole che le api, sentito il pericolo
costituito dall'incendio in arrivo, si rimpinzassero di miele,
per sciamare ed abbandonare l'alveare; in questo modo, ben
satolle di miele, non potevano pungere in quanto, per usare il
pungiglione devono inarcare l'addome, cosa resa impossibile dal
miele ingerito. Così usando l'affumicatore si indurrebbero le
api a pensare ad altro che pungere l'operatore. |
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Tornando alla nostra attività, a questo punto potremo
richiudere il copri-favo, muovendolo lentamente come a
massaggiare la api che potrebbero esservi rimaste sotto e
facendo molta attenzione a non ucciderne troppe; poi chiuderemo
anche il coperchio, ponendovi sopra qualche pietra per evitare
che il vento o qualche cinghiale curioso lo possa sollevare.
Passeremo a questo punto alle altre famiglie. Al di là di come
fare per aprire le arnie ed estrarre i telai, è necessario
cercare di capire cosa guardare, anche se in questo può aiutare
solo l’esperienza e qualche visita in apiario assieme ad
apicoltori esperti. Innanzitutto, come anticipato, si deve
individuare la regina, cosa non facile soprattutto se – come nel
nostro caso – non la si è marcata con un pennarello colorato.
Spesso la regina si trova sui telai centrali, dove c’è polline e
dove c’è covata ma a volte è coperta dalle ancelle che la
rendono praticamente invisibile. Nella foto a destra si
intravede Mafalda, Aprile 2011, più rossastra e lunga delle
operaie.
Questa operazione di
controllo è fondamentale perché una famiglia orfana è destinata
a soccombere se le api stesse o noi non poniamo in essere le
manovre correttive opportune: creazione di celle reali in
presenza di covata con meno di tre giorni o inserimento di una
regina già fecondata o di una cella reale con larva negli altri
casi. La seconda cosa da verificare è, poi, che vi sia covata e
lo stato della stessa, che vi siano scorte di miele, che non vi
siano segnali di patologie (come cercheremo di spiegare nella
parte sulle malattie delle api e le profilassi da seguire). |
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I telai e la sciamatura
Nel periodo tardo
primaverile le arnie devono scoppiare di api, sovraffollate come
la metro in orario di punta. Già questo è un buon indizio di
salubrità della famiglia, ma è opportuno controllare vari
indicatori. Innanzitutto, come già visto, il ronzio che promana
dalle api deve essere regolare, non simile ad un lamento o a un
pianto; l’odore che promana dall’arnia deve essere “di buono”,
ovviamente di miele e mai, per nessun motivo, sgradevole o di
marcio. I telai del nido devono avere la covata compatta, scorte
di miele nella parte alta, qualche celletta con polline fresco.
Se osserviamo le cellette opercolate (quelle chiuse, appunto,
con gli opercoli,) all’interno delle quali vi è la covata,
dobbiamo trovarle con gli opercoli pari o convessi, non concavi.
Gli opercoli non devono presentare fori, anche se talvolta una
pupa può avere iniziato a romperli ed essere morta, motivo per
cui non sempre ci si deve allarmare per la presenza di fori
sulle cellette. Alcune cellette vuote, spesso in ordine
simmetrico, sembra siano da considerare del tutto normali, ed
atte a permettere alle api di scaldare la covata. Il
controllo che andremo, pertanto, a fare dovrà limitarsi a
verificare la situazione sopra descritta, a verificare la
presenza della regina e la mancanza di celle reali. Nel caso in
cui le dovessimo osservare – simili a arachidi americane – se
accertata la presenza dell’ape regina, le dovremo distruggere
una ad una, per evitare che le api si accingano a sciamare. |
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La foto l'ho fatta a Giugno 2011, in Francia.
Ritrae un'ape, sporca di polline mentre bottina un fiore |
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La gestione
delle sciamature.
A primavera, a volte già
dai primi tepori dell’inizio di Marzo, a volte un poco più
tardi, è opportuno verificare costantemente, in occasione dei
nostri controlli, che le nostre api non abbiano voglia di
sciamare: non abbiano, cioè, quella che viene definita “febbre
sciamina”. Quando nascono le nuove api, soprattutto se tante, lo
spazio nell’alveare diventa poco. Così le api tendono a
costruire celle reali, al fine di allevare una nuova regina. Se
non interverremo nel bloccare o gestire questa operazione,
subito prima della nascita della nuova regina, la vecchia se ne
andrà con un bel gruppo di api. Stazionerà nelle immediate
vicinanze per circa tre giorni e poi... se ne andrà in cerca di
una destinazione definitiva. Andando, però, molto
presumibilmente, incontro a morte sicura diventando uno sciame
naturale che nessuno curerà dalle attuali gravi patologie che
affliggono le api. E’, quindi, necessario controllare le arnie
poco più di una volta la settimana, per distruggere le celle
reali e non dare tempo di allevare una nuova regina. In
alternativa è possibile prendere un telaio con una o due celle
reali, meglio se già chiuse, e creare un nucleo artificiale. Si
prende, in pratica, un porta sciami vuoto; si pone al centro il
telaio con la/le cella/e reali, si aggiungono ai lati due telai
con api e covata presi da altre famiglie, un telaio con miele di
scorta ed un telaio vuoto da costruire. In questo modo, una
volta che nascerà la nuova regina, avremo creato una nuova
famiglia che, controllata e seguita con cura, verrà trasferita
in un’arnia (quando sarà almeno su cinque telai pieni di covata
ed api). In ogni caso, anche se divideremo noi la famiglia o
cercheremo di distruggere le celle reali o i meri abbozzi di
celle reali, non sempre saremo al riparo dal fenomeno delle
sciamature. Vi sono, infatti, famiglie che, per loro natura,
tendono a sciamare anche più volte ed anche quando non vi sono
particolari problemi di super affollamento. In questi casi
l’unico rimedio è controllare spesso le nostre api, notando
tutti quei fenomeni che avvertono dell’intenzione di sciamare
coma la “barba”: come viene chiamato un gruppo numeroso di api
che, legate l’una all’altra, stazionano sotto il predellino di
involo. Utile è anche verificare che, magari su rami di alberi
vicini, non vi siano sciami che dovremo andare a recuperare. Per
far ciò è sufficiente porre un porta sciami sotto il ramo e
tagliarlo o scuoterlo violentemente, facendo in modo che la
regina cada nel porta sciami. La cosa non è difficile, a patto
che lo sciame non sia andato a posarsi a dieci metri di altezza
o non si sia infilato in un buco nel muro o nella cassa di un
avvolgibile!
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La raccolta del miele |
Prima.
Cambiando la tempistica
delle fioriture da regione a regione, questa parte del nostro
discorrere è riferita ai luoghi, provincia di Firenze, in cui
teniamo le nostre api. A primavera, quando iniziano le prime
fioriture, è opportuno togliere il candito e, casomai,
sostituirlo con un poco di sciroppo (fatto in casa con zucchero,
acqua, succo di limone) che stimola la ripresa delle attività
dalla calma nella quale le api hanno trascorso l’inverno. In
ogni caso, fin dai primi raggi di sole, le bottinatrici iniziano
molto presto la raccolta di polline e di nettare: col primo dei
quali nutrire api e covata, col secondo dei quali produrre
miele. Man mano che sbocciano i fiori tende ad aumentare
l’attività di raccolta, con nugoli di api che creano una sorta
di “autostrada” davanti alle arnie, in direzione dei prati o dei
primi alberi in fiore: mandorli, prugnoli, poi ciliegi e così
via. Dopo che le api avranno rimpinguato le scorte per
l’inverno, è il caso di iniziare a pensare di mettere i melari,
calcolando se sia il caso di metterli con la prima fioritura
dell’acacia o ancora prima cercando di produrre un po’ di
millefiori. Una volta fatta la nostra scelta, legata anche al
periodo ed alla forza di ogni singola famiglia, porremo l’escludi-regina
sopra l’arnia e su di esso appoggeremo delicatamente il melario;
quindi chiuderemo con coprifavo e coperchio. Se la temperatura
lo consiglia potremo anche togliere la porta, che avremo già in
precedenza messo su posizione estiva, per agevolare le api nel
deposito del miele all’interno dell’arnia. Prima di continuare
dobbiamo spendere due parole sull’escludi-regina che non tutti
gli apicoltori impiegano. Tale strumento è costituito da una
griglia di metallo, una sorta di rete, che permette alle api ma
non alla regina di salire nel melario. Se, comunque, le rallenta
- e questo è il motivo per cui non tutti lo usano - impedisce
alla regina di andare a covare nel melario, evitando che il
miele venga “sporcato” dalla covata.
In questo modo avremo due grossi vantaggi: eviteremo che nel
melario vi siano esuvie (residui organici delle api) che possono
“sporcare” il miele peggiorandone la qualità e possono favorire
la presenza della tarma della cera, di cui tra poco.
Durante.
Man mano, poi, che le api
colmano il melario ci si dovrà apprestare a metterne un secondo
e magari un terzo, sempre a patto che la fioritura che vogliamo
raccogliere continui ad essere abbondante. Per far ciò dovremo
togliere il primo melario, facendo attenzione a non sollevare
l’escludi-regina, e mettere il secondo a contatto con l’arnia;
il primo lo ricollocheremo sopra per permettere alle api di
completarlo e di opercolarlo successivamente. Tale inversione
dei melari è, secondo noi, preferibile perché le api non
troveranno la via ostruita da telai colmi di miele e saliranno
più agilmente. Per contro si fa più fatica e si può creare un
certo disorientamento, nel caso in cui il primo melario non sia
stato colmato del tutto. Ricordiamo che, soprattutto quando vi
sono fioriture “importanti” come acacia e castagno, le api
possono essere innervosite dalla nostra presenza, che non potrà
neppure essere attutita dall’uso dell’affumicatore, che non deve
mai essere usato quando vi è produzione di miele che intendiamo
raccogliere.
Dopo.
Finita la fioritura di
nostro interesse, se vogliamo un miele mono-floreale puro,
dobbiamo togliere velocemente i melari per impedire alle api di
depositare miele di altro tipo. Anche in questo, però, dobbiamo
fare attenzione: il miele, per conservarsi e non fermentare,
deve avere un’umidità non superiore al 18%. Ora le api, in uno
dei tanti affascinanti “miracoli” dei quali sono protagoniste,
opercolano i favi, li chiudono cioè con gli opercoli di cera,
quando il miele è intorno a tale percentuale di umidità. Se
togliamo prima i melari, cercando che l’acacia ad esempio sia il
più pura possibile, rischiamo di portarci a casa un miele troppo
umido, destinato a fermentare e ad essere quasi immangiabile.
Così è consigliabile impiegare un refrattometro, un apparecchio
usato anche in viticoltura che permette di misurare la
percentuale di umidità del miele.
Nel caso in cui fossimo costretti a togliere, comunque, i melari
anche con un’umidità eccessiva potremo cercare di abbassarla con
un sistema abbastanza semplice: portiamo i melari in
laboratorio, li poniamo sfalsati uno sull’altro, mettiamo a loro
fianco un deumidificatore ambientale e copriamo il tutto con un
telo; in un paio di giorni dovremmo riuscire ad abbassare
l’umidità del nostro miele anche di due o tre punti percentuali.
Tornando in apiario, per togliere i melari
adoperiamo uno strumento, chiamato “api-scampo”
che ci costringe a tornare in apiario più volte prima di finire
le operazioni di smielatura; rispetta maggiormente le api, però,
e questo per noi è l’importante! L’api-scampo è una assicella,
da posare subito sopra l’escludi-regina, con al centro un disco
di metallo con due fori sotto ed uno sopra. All’interno di
questo dischetto si trova una spirale che le api devono
percorrere per spostarsi dal melario al nido, ma che impedisce
l’accesso contrario almeno per un paio di giorni, finché le api
non imparano il trucco. Quindi, nel dettaglio, ci si reca
in apiario nel mezzo del giorno, quando le bottinatrici sono
fuori, si alzano i melari e si colloca l’api-scampo facendo
attenzione a metterlo nel verso giusto (i due fori verso
l'alto). Si torna dopo un giorno e mezzo o due, par dare il
tempo alle api di abbandonare i melari ma prima che abbiano
imparato la via inversa, e in teoria si trovano i melari con
pochissime api all’interno, tanto poche che basta spazzolarle
con delicata decisione. Se ne sono rimaste troppe si può anche
usare un soffiatore a motore elettrico o a scoppio che le soffia
via, limitandosi come effetto negativo solo a intontirle un po’.
A questo punto, facendo attenzione che altre api non si
depositino nei melari che stiamo spostando, li copriremo con un
telo umido e li metteremo in macchina o su un carrello e
partiremo alla volta del laboratorio! |
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La stessa... modella francese!
Dall’apiario al laboratorio e ancora in senso inverso...
Una volta portati i melari
nel laboratorio, questi vengono impilati e presi uno ad uno. Si
pongono i telai sul banco disopercolatore, si toglie l’opercolo
(la cera che copre ogni singola celletta nella quale è racchiuso
il miele) usando l’apposita forchetta, si pongono i telai nello
smielatore e si centrifuga per una decina di minuti. Il miele,
in tal modo, viene espulso per effetto della forza centrifuga,
dalle cellette e si raccoglie nel fondo dello smielatore. Da qui
viene spillato in un secchio per uso alimentare e quindi versato
nei maturatori (fusti di acciaio inox), dopo essere passato da
un duplice filtro: a rete in acciaio e a calza. Il miele vi
rimane per circa un mese, periodo di tempo grazie al quale le
bolle d’aria salgono verso l’altro e creano una specie di
schiuma, non bella ma molto buona. Trascorso questo periodo
viene versato direttamente nel barattoli ed è pronto per il
consumo.
Nel fare queste semplici
operazioni si deve ricordare che il miele è fortemente
igroscopico e che tende a raccogliere eventuali sapori ed odori
estranei che rischiano di danneggiarne la purezza. Così il
laboratorio deve essere pulito, al pari delle mani di chi
lavora, non si deve assolutamente fumare nè usare profumi
personali o ambientali di sorta; infine l’ambiente in cui si
lavora deve avere una umidità relativa controllata (noi usiamo
un semplice deumidificatore). Una volta tolto il miele dai
melari, è bene che questi vengano portati di nuovo in apiario e
collocati, con l’api-scampo in posizione aperta, sulle arnie
anche in quantità di tre o quattro per famiglia: in questo modo
le api andranno a ripulire perfettamente dal miele residuo i
telai, che dopo due o tre giorni andremo a recuperare. Anche in
questo caso dovremo ricordarci di chiudere gli api-scampo e di
tornare, dopo circa due giorni, a riprendere i melari. A questo
punto i melari saranno ben asciutti e pronti per il nuovo anno,
ma necessiteranno
prima di essere trattati contro la tarma della cera, come
vedremo più sotto a proposito di patologie e profilassi.
Verso la chiusura del cerchio.
Quando avremo finito con
le operazioni di stoccaggio di miele e melari ci troveremo
all’inizio della stagione autunnale, quando si dovranno fare
altri trattamenti con acido ossalico, controllare la caduta di
varroa nei cassettini e prepararsi al pre-invernamento. Si
dovranno, cioè, controllare le scorte di miele nel nido (almeno
4 telai ad arnia, se possibile) e si dovranno spostare ai lati
dell’arnia i telai vecchi, quelli da sostituire perché troppo
scuri. Così, quando le api diminuiranno e faranno il “glomere”,
potremo sostituire i telai vecchi con altri nuovi, da costruire
ed avere sempre telai di cera chiara, dove le api stanno meglio
ed anche i controlli sono più facili. Così, diminuendo le
attività in apiario, ci troveremo nel periodo invernale nel
quale l’apicoltore riposa, ben ricordandosi di verificare, con i
controlli invernali, lo stato di salute delle api, la necessità
di collocare candito tra coprifavo e coperchio (o nel nutritore
a tasca), quella di ripetere i trattamento con acido ossalico.
Patologie e profilassi |
La
peste.
Le api possono essere affette da varie patologie, alcune delle
quali “incurabili” come la peste europea o americana. Queste,
con singole differenze tra l’una e l’altra in merito alle quali
non è il caso di addentrarsi in questa sede, possono essere
diagnosticate con semplici metodi empirici, non certo
infallibili ma utili per un costante controllo della salute
delle nostre api. Come accennato nella sessione sui controlli,
indice della presenza delle temute pesti sono: cattivo odore (di
marcio) percepito al momento dell’apertura dell’arnia, poca
covata e non compatta, presenza di cellette con l’opercolatura
infossata, convessa, spesso con fori praticati non al centro
della celletta. In questi casi si può infilare nella celletta
esaminata uno stecchino ed osservarne il contenuto: se fuoriesce
una sostanza marrone, maleodorante, che crea dei filamenti,
saremo in presenza di peste americana. |
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Nella foto sopra le macchie rotonde rosso/marrone sono varroe
morte |
Purtroppo talvolta questa
prova del nove può non dire il vero ed essere comunque al
cospetto della malattia anche senza la suddetta viscosità) così
come se la larva è essiccata non sarà facile notare questo
segnale o l’altro della ligula della pupa estroflessa verso
l’alto. Per tale motivo si può ricorrere ai kit, monouso, che si
trovano in commercio e che possono essere utilizzati in caso di
dubbio sulla presenza della peste americana o europea. Una volta
certi della patologia si deve notificare la cosa alla A.s.l.
competente che “bloccherà” l’intero apiario e quelli presenti
nel raggio di 3 chilometri da esso. Come è evidente, si tratta
di una patologia altamente grave ed a rapida diffusione, con le
spore, termo-resistenti, capaci di rimanere latenti anche per
trentacinque anni, tale da richiedere l’intervento dell’autorità
veterinaria che opera una specie di quarantena all’intero sito.
Se abbiamo la disgrazia – e, purtroppo, prima o poi capiterà a
tutti in quanto la peste, in misura di norma non dannosa per le
api, è sempre presente nelle arnie – di trovare una
famiglia colpita da peste, si dovrà procedere alla sua immediata
soppressione. Si dovrà sigillare con nastro adesivo ogni
apertura della cassa, in modo da evitare accesso di aria
all’interno, e si infilerà dal foro presente sul coprifavo una
pasticca, accesa, di zolfo. In tal modo le api moriranno in
breve tempo. Procederemo, quindi, a scavare una buca e a
gettarvi tutto il contenuto dell’arnia che daremo subito alle
fiamme, Dovremo poi seppellire il tutto, rivoltare la terra
sotto l’arnia, abbrustolire con la fiaccola il supporto stesso
dell’arnia. Quest’ultima, l’eventuale melario e l’attrezzatura
tutta che potrà essere stata a contatto con l’arnia colpita, le
invieremo a Bologna, presso un’azienda che tratterà il tutto con
i raggi gamma. In alternativa, ma con qualche interrogativo
sulla percentuale di successo dell’operazione, potremo
abbrustolire l’arnia con la fiaccola e lavarla poi con soda
caustica.
La varroa
Un altro grave pericolo
per le nostre api è costituito da un acaro importato dall’ape
asiatica che, a differenza della nostra, ha imparato a
conviverci in simbiosi. Si tratta dell’acaro Varroa jacobsoni
che possiamo descrivere come una sorta di piccolissima zecca di
colore rosso-bruno, di circa un millimetro di lunghezza, con
otto zampe ed un apparato succhiante e pungente. Esso cresce
nelle celle chiuse di covata, succhiando l’emolinfa delle larve,
e si attacca poi sul dorso delle api che, loro e nostro
malgrado, non riescono a scrollarsele di dosso. La varroasi è
sempre presente negli alveari ma deve essere contenuta,
altrimenti può portare a morte di famiglie intere per collasso
da varroa, dato che si sviluppa in modo esponenziale. Quando in
un’arnia vi è molta varroa le nuove api possono nascere con
gravi malformazioni dato che le pupe si sviluppano con addosso
lo sgradito ospite. Per chi, come noi, pratica apicoltura
biologica non è possibile ricorrere a farmaci di sintesi ma solo
a molecole naturali, da affiancare a corrette pratiche di
gestione dell’alveare. Senza entrare troppo nel dettaglio, noi
operiamo trattamenti invernali ed estivi con acido ossalico, sia
gocciolato sui telai che spruzzato direttamente sulle api.
Infatti dopo un 2010/2011 caratterizzati da “follia legislativa”
che ha visto il divieto dell’uso dell’acido ossalico,
dall’Ottobre 2011 viene autorizzato il libero commercio di un
farmaco a base di acido ossalico: l’Api-Bioxal. Nel mese di
agosto utilizziamo anche essenza di timolo che però dal 2011
stiamo sostituendo, man mano, con una semplice tecnica
meccanica: il blocco di covata al quale far seguire l’usuale
trattamento con acido ossalico. Per capire le ragioni di tale
operazione si consideri che la varroa nasce nelle celle chiuse
in cui, giocoforza, non riesce ad entrare l’acido che siamo
soliti usare. Così è necessario indurre un blocco alla
ovo-deposizione della regina, al fine di avere un periodo in cui
nell’arnia non vi sono celle chiuse. Per far questo è necessario
“ingabbiare” la regina per 24 giorni, confinandola in una parte
ristretta dell’arnia. A fine Luglio 2011 abbiamo, per la prima
volta, impiegato una sorta di escludi-regina verticale per
limitarne gli spostamenti ad un solo telaio dell’arnia,
inducendo così il blocco di covata sugli altri telai.
In realtà il sistema (che speravamo semplice e meno fastidioso
per la regina) si è rivelato essere una bella “trappola” ma per
noi invece che per le api... dato che ha fallito il suo scopo
tranne che su una famiglia. Dal prossimo anno proveremo con le
gabbiette di legno nelle quali cercare di convincere ad entrare
la regina, cosa non molto semplice dato che può comportare il
dover prendere la regina per le ali, senza guanti...!
Chi si accinge a scegliere
quale trattamento fare consideri alcuni fattori: operando il
blocco di covata si possono lasciare i melari sulle arnie e
continuare così a raccogliere il miele; facendo i trattamenti al
timolo (per non parlare di quelli chimici che nemmeno prendiamo
in considerazione) i melari devono essere tolti, per evitare che
il miele assuma cattivi odori e sapori. Non si deve nemmeno
dimenticare che, ad oggi, non vi sono soluzioni definitive
contro la varroasi e che, quindi, è il caso di prestare molta
attenzione alle profilassi che porremmo in essere: il timolo, al
2011, sembra che da solo non riesca a contenere la patologia,
motivo per cui crediamo sia il caso di implementare il sistema
del blocco di covata, macchinoso ma più efficace. E questo
finché, come temiamo, la varroa non diventerà resistente ai
principi attivi dell’acido ossalico... In ogni caso, qualsiasi
trattamento avremo scelto di porre in essere, è necessario
togliere i cassettini sottostanti il nido, pulirli, cospargerli
ben bene di olio di vaselina e rimetterli al loro posto. La
vaselina impedisce alle varroe che cadranno di risalire
nell’arnia ed ostacola anche le formiche che potrebbero mangiare
le varroe cadute. In questo modo potremmo non capire bene la
quantità di caduta – da controllare dopo una settimana – e,
quindi, non valutare in modo appropriato né la salute delle
nostre famiglie né l’efficacia della profilassi in atto.
La tarma della cera.
Prima di terminare questa
passeggiata nel mondo delle api e del miele, restano da fare due
chiacchiere sull’importanza dell’igiene sia nel laboratorio che
nella gestione tutta degli apiari. Gli strumenti che usiamo, gli
stessi guanti o le tute, possono veicolare infezioni o altre
patologie da un’arnia ad un’altra. Così noi, periodicamente,
laviamo l’intera attrezzatura (ma anche gli api-scampo e gli
escludi-regina) con un prodotto che viene usato per la
sterilizzazione degli strumenti chirurgici: l’Oxygen. Prima
raschiamo via, a volte con l’ausilio di un phon da restauro o di
una fiaccola, le varie incrostazioni di cera o propoli che
possono andare a occludere, ad esempio, gli spazi
dell’escludi-regina. Particolare attenzione va anche prestata ai
telai da nido che, a primavera, togliamo alle famiglie per far
posto a covata e scorte nuove. In questi telai si può
moltiplicare la Galleria, comunemente chiamata larva
della cera, che poi si tramuta in farfalla notturna. Tale
lepidottero deposita le sue piccole uova, nerastre,
preferibilmente nelle celle dove c’è stata covata. Quando
dall’uovo nascono le camole, queste si nutrono della cera,
divorandola, e tessendo dei filamenti tipo ragnatela. Se si
vogliono, pertanto, conservare le scorte di miele – da rendere
alle api in periodi in cui scarseggiano le fioriture – si devono
riporre i telai a temperature inferiori ai 10 gradi centigradi,
che impediscono lo sviluppo della Galleria. Altrimenti
saremo costretti a buttar via i telai, facendo attenzione al
modo in cui li andremo a smaltire.
In ogni caso si deve tener
presente che la larva della cera è spesso presente nelle nostre
arnie ma che, in famiglie sane, non costituisce un problema in
quanto viene uccisa dalle api. Ciò comporta che il problema vero
si ha quando si tolgono i telai o i melari dalle arnie. Così,
prima di stoccare in magazzino i melari, noi facciamo un
trattamento microbiologico con il prodotto B401
(commercializzato da Vita-Swarm S.a.s.), a base
della varietà
Aizawai serotipo 7 del Bacillus
thuringiensis,
ovviamente ammesso in apicoltura biologica:
spruzziamo ogni telaio con tale preparato diluito al 5% in
acqua, lo facciamo asciugare al sole e lo rimettiamo al suo
posto, con una successo dell’operazione oserei dire totale.
Senza scendere troppo nel dettaglio, questo bacillo secerne una
tossina che viene mangiata dalle larve della camola; tale
tossina attacca le pareti intestinali dell’ospite che entro
breve tempo muore. Non è dannosa né per la farfalla adulta né
per le api e non lascia alcun residuo nella cera. Al posto di
tale metodo c’è chi usa le pastiglie di zolfo ma, a nostro
avviso, la cosa è più macchinosa, maleodorante, comunque meno
naturale. |
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Conclusioni |
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Gli inconvenienti del mestiere, cioè le punture dell’ape.
Capiamoci subito! Le api,
tranne alcuni casi particolari di famiglie aggressive non si sa
bene il perché, non attaccano l’uomo senza motivo; anche perché,
a differenza delle vespe, quando pungono lasciano il pungiglione
infisso nella vittima, ed attaccato al pungiglione rimane parte
degli organi interni dell’ape che, di conseguenza, muore. Ecco
che l’ape punge solo se in pericolo, sé stessa o la famiglia, o
se schiacciata inavvertitamente; motivo per cui con un po’ di
attenzione, si possono ridurre al minimo gli incidenti che,
comunque, soprattutto all’inizio è cosa normale accadano.
L’importante, in fase di prevenzione, è restare calmi, muoversi
lentamente senza gesti improvvisi, non far sentire che magari
siamo a disagio o abbiamo paura. L’importante è essere ben
coperti, non consigliando – personalmente – di fare come alcuni
apicoltori che lavorano spesso a mani nude. Il veleno dell’ape
è, comunque, doloroso, soprattutto per i primi due o tre minuti
dalla puntura; l’intensità del dolore dipende anche dal punto
dove veniamo punti, se molto vascolarizzato o meno. Il gonfiore
che segue è legato al tipo di reazione che ha ognuno di noi:
Sonia gonfia pochissimo, mentre io divento come un salsicciotto
per almeno tre giorni. Conviene avere a portata di mano un
antistaminico orale o da fare intramuscolo ma, almeno noi,
cerchiamo di evitare e di immunizzarci pian piano. O meglio...
puntura dopo puntura! In ogni caso può essere consigliabile
sottoporsi a test (a Firenze presso l'Ospedale di San Giovanni
di Dio) per verificare di non essere allergici, come nel mio
caso (Guido) che faccio finta di niente ma mi tengo a portate di
mano l'iniettore di adrenalina!
A
Luglio 2014 sono stato costretto ad aggiungere una pagina al
sito...
api assassine,
a causa di Pina... improvvisamente diventata molto, troppo
aggressiva. Prima di decidere se diventare o meno apicoltori
consiglio di leggerla! |
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Due parole di chiusura.
Onestamente credo che
pochi ci avranno seguiti nelle quattro chiacchiere fatte sul
nostro modo di fare apicoltura, essendoci in giro davvero molti
siti più approfonditi e specialistici. Noi, lo ribadiamo,
abbiamo voluto cercare di essere chiari, a volte “terra-terra”,
e di entrare nel dettaglio delle pratiche che poniamo in essere,
un po’ per ripasso per noi stessi, un po’ quale traccia per chi
volesse far seguire qualche arnia alla propria curiosità. Il
tutto, avendo in coppia una laurea in giurisprudenza ed una in
psicologia ma niente di specifico in materia, davvero senza
nessunissima pretesa di completezza o di certezza.
Abbiamo raccontato quello che facciamo noi, il nostro modo di
fare apicoltura, che prima che di tecnica è fatto di pazienza,
passione, amore, per la campagna e per le nostre api! |
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Guido & Sonia
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